20 febbraio 2010

Non è un paese per giovani


La parola giovane ha come radice latina iuvare - essere utile, contribuire al bene comune.
Noi giovani dovremmo rappresentare la parte dinamica della società, gli innovatori e - direi anche - i custodi del pensiero critico.
Abbiamo visto in televisione la caduta del muro di Berlino, i processi di Tangentopoli e le stragi di mafia; non ci siamo formati nella prima Repubblica e non ci siamo costruiti false illusioni sulla seconda.
Viviamo l'era della globalizzazione e del consumismo, del conformismo e dell'apparire, ma pochi di noi si rendono conto del fatto che dovremo rivedere al ribasso le nostre aspettative.
L'operazione di rapina nei confronti delle giovani generazioni, iniziata alla fine degli anni '70, con il ridimensionamento del welfare, per continuare negli anni '90 con le riforme pensionistiche, che lasciando invariato il trattamento previdenziale delle vecchie generazioni, hanno addossato sui giovani, tutto il peso dell'invecchiamento della popolazione.
Da ultima la riforma Gelmini è l'esempio emblematico di come la cattiva gestione della cosa pubblica possa produrre effetti disastrosi, non sui privilegiati, ma sui più ricattabili, studenti e precari.
Le responsabilità degli attuali sessantenni, abili a mantenere le posizioni di potere, sono chiare e facilmente dimostrabili.
In un simile contesto, la reazione e lo scontro generazionale, sarebbe naturale, invece, spesso ci accontentiamo di essere figli, mentre dovremmo capire che siamo cittadini.
Viviamo in una società ingiusta e iniqua, che non investe sulle sue risorse, giovani e meritevoli.
Centinaia di cervelli ogni anno vengono, in qualche modo, cacciati via da questo paese, per andare a lavorare all'estero.
I giovani italiani rispetto ai loro coetanei europei, contano meno: socialmente, economicamente, politicamente.
Secondo il rapporto Luiss 2008 "Generare classe dirigente", il 45% dei leader italiani, nella politica, nelle istituzioni e nel mondo produttivo, ha più di 70 anni.
I Giovani italiani hanno il minori peso politico dei paesi occidentali. Siamo l'unico grande paese in cui solo un 25enne su 4 è occupato, e quel 25enne impiegato è sempre precario. Perché alla flessibilità non sono state affiancate misure di protezione sociale.
Siamo l'unico paese europeo, insieme alla Grecia, a non avere a livello statale il reddito minimo di cittadinanza.
Ai giovani non resta che appoggiarsi fino ai capelli bianchi alle famiglie d'origine - l'unico vero ammortizzatore sociale delle giovani generazioni.
Siamo giovani nel momento sbagliato e saremo anziani nel modo peggiore.
Questo è il momento di reagire, prendiamoci lo spazio e i diritti di cui abbiamo bisogno.
Pensiamo in grande, diventeremo adulti insieme.

Paola Calorenne

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